OPINIONI 
Questo articolo è comparso nel 1993 sul periodico di alpinismo e cultura alpina "Rivista della Montagna". Nonostante siano passati molti anni dalla pubblicazione, il quadro della meteorologia e della climatologia italiana non si presenta sostanzialmente mutato, salvo il consueto trasformismo di vernice che l'ha ribattezzato "Servizio Meteorologico Nazionale Distribuito".

METEOCHÈ?
 
di Luca Mercalli e Federico Spanna
Tratto da "Rivista della Montagna", Torino, 1993

A novembre, sul versante italiano delle Alpi, soffia spesso il föhn, quel vento caldo e secco che pulisce l'aria e fonde la neve. Mentre si percorreva la Val di Susa, vero corridoio alpino per le correnti occidentali, le raffiche imprimevano lievi ondulazioni alla vettura, e noi, osservando gli affusolati contorni delle nubi lenticolari, si considerava quanto fosse ancora lungo il cammino per raggiungere una maggior affidabilità delle previsioni meteorologiche nelle zone montuose. Un'ora più tardi, quasi all'imbrunire, ci si trovò a far visita alla stazione termopluviometrica di Claviére, al Monginevro, una fra quelle migliaia che in Italia dovrebbero assicurare la capillare acquisizione dei dati meteorologici essenziali: pioggia, neve e temperatura. Pur rappresentativi di un comprensorio sciistico di prestigio internazionale, trovammo gli strumenti in uno squallido cortile nel retro di un ristorante; alto su un muraglione, seminascosto fra le disordinate masserizie di un cantiere, ecco, pendente ed instabile, il pluviografo. Ci si fece strada fra il pantano di poca neve molle e, aperto lo sportello, apparve un groviglio di carta macchiata d'inchiostro. L'innocente strumento implorava pietà, ormai bloccato da quasi due mesi. Lì, davanti a quel cielo scuro sul Delfinato, fummo colti dal senso di tristezza di chi è arrivato troppo tardi: purtroppo, non era altro che un episodio da aggiungere ad un vergognoso elenco.

Eppure, fin dal 1860 la meteorologia alpina aveva trovato in Padre Francesco Denza, direttore dell'Osservatorio di Moncalieri e fondatore della Società Meteorologica Italiana, un instancabile coordinatore: chi mai sospetterebbe che nel 1874, con l'aiuto del giovane Club Alpino Italiano, già i dati affluivano dal Colle di Valdobbia, Piccolo e Gran San Bernardo, Sempione, Pallanza, Varallo Sesia, Aosta, Cogne, Susa, Casteldelfino? Nel 1890 le stazioni erano 254, un po’ in tutta Italia; Denza scomparve, insignito della direzione della Specola Vaticana nel 1894. E che dire dell'osservatorio di Domodossola, fondato nel 1872, che in quegli anni vedeva inseriti i propri dati nei bollettini di Roma, Parigi e Washington, corrispondendo inoltre con le Università di California, Santiago del Cile, Budapest, Bucarest, Ksara ed Amburgo? Come molti altri, il prestigioso Osservatorio ossolano si spense nel 1972, ed è oggi parzialmente riattivato solo grazie all'impegno di uno studioso locale. Povero Denza quando nel 1876 andava orgoglioso affermando "noi prepareremo pei nostri posteri un materiale ben ordinato e prezioso per istabilire il non facile edifizio della climatologia".

Nel 1932, sulle pagine dell'autorevole Revue de Geographie Alpine, Maurice Pardé, un grande dell'idrologia europea, così scriveva del Servizio Idrografico Italiano: "Da una quindicina d'anni in Italia, la meteorologia e l'idrometria ufficiali hanno compiuto notevoli progressi che contrastano con l'evoluzione opposta osservata nel nostro paese. [...] Nel 1930 il Regno d'Italia ha raggiunto le 880 stazioni termometriche e le 4306 pluviometriche, mentre in Francia riteniamo che queste ultime non arrivino a 3000 (su una superficie quasi doppia dell'Italia, n.d.r.).[...] Da noi - continua Pardé - l'amministrazione pubblica non ha compreso la necessità di mantenere e perfezionare queste misure così utili e preziose per la scienza. Da una decina d'anni il numero di stazioni, un tempo considerevole, è stato ridotto [...]. Lungi dal soffrire di una politica così miope, il Servizio Idrografico Italiano ha potuto largamente accrescere la propria attività. [...] 

Anche da un altro punto di vista di primaria importanza, quello delle pubblicazioni, l'Italia uguaglia o sorpassa i paesi dotati dei più moderni e attivi Servizi Idrometrici. In nessun altro Stato si può reperire una più completa sintesi di studi meteorologici ed idrometrici, ed una preoccupazione tanto evidente di giungere a conclusioni precise e di valenza generale.[...] La superiorità dell'idrometeorologia italiana sulla nostra è sorprendente, e certo, a questo risultato contribuiscono illustri idrologi, come gli ingegneri M. Giandotti, M. Visentini, P. Frosini". Chi oggi sfogli le pagine degli Annali Idrologici pubblicati in quegli anni dal Servizio Idrografico Italiano, nel rigoroso ordine, nella completezza dell'informazione non potrà che giudicare sincere le frasi di ammirazione dello studioso d'oltralpe. Ma sessant'anni più tardi le parti si sono invertite: in un perverso cammino comune a tanti altri settori, incompetenza e trascuratezza hanno portato la meteorologia italiana nel caos più totale, nella completa anarchia. In questo rapido viaggio attraverso le fosche nubi dei cieli italiani, cercheremo dunque di tracciare un quadro dell'attuale situazione non già per accusare nessuno, un po’ tutti ne siamo responsabili, quanto piuttosto nella speranza di stimolare un momento di riflessione in quanti oggi dimenticano la responsabilità di consegnare ai futuri cittadini italiani un indispensabile patrimonio conoscitivo del loro territorio.

Chi frequenta la montagna sa quanto siano mutevoli le condizioni del tempo, e soprattutto quanto esse possano divenire elemento limitante, se non addirittura esiziale, in luoghi o situazioni particolari. Proprio in seguito ad un'ennesima disgrazia dell'alpinismo occorsa nell'estate 1991 sulle Dolomiti, si levò un coro di voci giustamente concordi circa la necessità di garantirsi un sufficiente margine di sicurezza seguendo le previsioni meteorologiche, consiglio al contrario disatteso da buona parte degli escursionisti. In un bel redazionale dal più che opportuno titolo "Previsioni meteo: si, ma quali?", apparso su La Rivista del Club Alpino Italiano, Luciano Ratto affronta con la franchezza dell'utente comune l'argomento dell'informazione meteorologica italiana, con particolare riguardo alla regione alpina: chi sono e cosa offrono le istituzioni preposte al settore, come si fa ad accedervi, quale l'affidabilità. Il quadro che ne emerge è deludente: concordiamo con Ratto quando definisce "grossolane e generiche le previsioni fornite dai quotidiani e dalle tre reti radio", (alle quali aggiungiamo quelle diffuse da SIP e Videotel), e appena superiori quelle televisive. Ciò vada per l'ascoltatore distratto, per chi vuole pianificare un week-end sulla spiaggia o preparare il guardaroba del mattino dopo. 

Ma gli utilizzatori più esigenti, gli alpinisti, le guide, i responsabili del soccorso, i professionisti coinvolti nelle altre centinaia di attività che hanno a che fare con l'ambiente esterno, non se la passano meglio, avendo a disposizione le medesime informazioni. I bollettini italiani sono scarni e vaghi, ma soprattutto privi di riferimenti locali: le distinzioni non vanno oltre a Nord, Centro, Sud. Limitiamoci alla pianura Padana ed alle Alpi. Nessuno afferma che elaborare previsioni per le zone montuose sia attività facile: tutt'altro ma, suvvia, non prendiamoci gioco del pubblico affermando che il tempo sarà pressoché identico a Bardonecchia piuttosto che a Tarvisio, fra i quali corrono quasi 600 km! La maggior parte dei fenomeni meteorologici ha come teatro i primi 12000 metri di atmosfera, ed è intuitivo rendersi conto di quali e quante modifiche vengano imposte alle correnti aeree dalle Alpi, che occupano almeno un buon terzo di questo spazio verticale. Tale complicazione naturale non costituisce certo un'attenuante alla scarsità di riferimenti locali dell'informazione meteorologica italiana, semmai avrebbe dovuto rappresentare una ragione di più per approfondire gli studi e proporre soluzioni più efficaci. 

Vediamo dunque dove nascono le previsioni. Quasi tutti i paesi del mondo dispongono di servizi meteorologici nazionali che, in Europa e nel Nord America, spesso sono stati costituiti nella seconda metà del secolo scorso, quando le comunicazioni telegrafiche hanno reso possibile lo scambio rapido delle osservazioni. Allo scopo di uniformare strumenti e metodi di misura, codici di trasmissione e simbologia, obiettivi di ricerca e programmi didattici, nell'ultimo dopoguerra fu istituita a Ginevra l'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM o WMO), agenzia speciale delle Nazioni Unite tuttora in piena attività e di cui anche l'Italia fa parte. Successivamente, con il graduale sviluppo dei mezzi di calcolo automatico, allo scopo di concentrare le risorse e ridurre i costi della previsione meteorologica furono creati grandi centri a scala continentale. 

In Europa l'ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts) entrò in servizio nel 1979 a Reading, presso Londra, con il contributo finanziario di 17 paesi membri. Qui ogni giorno, un modello matematico continuamente implementato elabora i parametri previsionali per l'evoluzione del tempo fino a 5 giorni, ma la rapidità richiesta alla diffusione dei dati e l'estensione del territorio considerato, impongono una maglia geografica piuttosto larga, alla quale sfuggono i caratteri climatici locali. Entrano qui in gioco i servizi nazionali, che, ricevuti i dati previsionali a grande scala, li sottopongono ad ulteriori analisi adattandoli alla realtà del proprio territorio. 

La rappresentanza italiana nell'ambito di tale organigramma fu assunta dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare. Fu questa un' anomalia: "in Italia - citiamo nuovamente dall'articolo di Ratto - non esiste un vero centro meteorologico nazionale, come in Francia, in Svizzera ed in altri Paesi". Per lunghi decenni, la configurazione del servizio in ambito militare ha circoscritto lo sviluppo della meteorologia nazionale in un intorno particolarmente rivolto alle necessità della sicurezza del volo, ben diverse dunque da quelle della meteorologia ad ampio spettro. Giorno dopo giorno, i pochi minuti di previsioni televisive hanno steso come un velo sugli occhi del pubblico, l'apparenza di avere anche noi una struttura moderna ed efficiente; ma dietro le divise dei colonnelli, covava lentamente la sconfitta di un intero sistema. A differenza di quasi ogni altra nazione, l'Italia resta ancor oggi priva di un corso di laurea in meteorologia e climatologia; solo occasionalmente le discipline rientrano nei programmi delle Facoltà di Fisica, Scienze Geologiche e Naturali, più per la lungimiranza del docente che per una reale pianificazione didattica. 

Quindi in primo luogo, esiste un enorme deficit di cultura scientifica, percepibile anche dalla superficialità con cui l'argomento clima è trattato nella maggior parte della letteratura tecnica. O peggio, quando la sua trascuratezza porta a scelte errate: ogni inverno avaro di neve ripropone il problema dei bilanci in rosso di piccole stazioni sciistiche; ma quando mai - e con quali dati - sono state eseguite le analisi statistiche sull'innevamento? Quando mai è stata interpellata la figura del climatologo...introvabile? Forse in molte zone nevica poco perché è sempre nevicato poco, ma per fare scelte ragionevoli sono necessari i dati oggettivi riferiti a lunghi periodi, non la memoria del nonno. Come accade di solito, nella confusione non mancano aspetti contrastanti, come è vero che da alcune università italiane uscirono fisici che contribuirono con brillanti successi alla progettazione del modello previsionale europeo, così come nella stessa Aeronautica Militare esistono studiosi la cui professionalità è riconosciuta a livello internazionale, ma sono esempi isolati, avulsi dal tessuto di una nazione che, a partire dagli anni ottanta, quando l'avidità di informazioni sull'ambiente si andava via via gonfiando, si è trovata improvvisamente priva di un riferimento unitario. 

Torniamo indietro nel tempo: prima dell'istituzione del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, esistevano già in Italia Enti preposti all'attività di osservazione meteorologica: il primo era senza dubbio il prestigioso Ufficio Centrale di Meteorologia ed Ecologia Agraria, fondato a Roma nella seconda metà del secolo scorso, dipendente dal Ministero Agricoltura e Foreste, Ufficio che riuniva tutti gli Osservatori storici della Penisola, quasi sempre gestiti da strutture religiose o universitarie; il secondo era il Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici, istituito nel 1913 e della cui capillare diffusione ed efficienza si è già detto. Questi Servizi, ancora oggi esistenti, non si integrarono con la rete dell'Aeronautica, attivata alla fine della seconda guerra mondiale soprattutto in corrispondenza degli aeroporti, e proseguirono la loro opera in maniera autonoma. 

Dopo il 1960 lo Stato sembrò gradualmente dimenticarsi di possedere tali strutture: il personale fu ridotto drasticamente, strumenti e metodologie non furono adeguati ai nuovi standard tecnologici ed alle normative internazionali, i dati non furono più pubblicati con regolarità. Considerando ad esempio le Alpi Occidentali, l'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria gestiva tra il 1920 ed il 1940 il fiore all'occhiello della meteorologia alpina italiana: la rete dei Regii Osservatori Meteorologici e Geofisici del Monte Rosa, culminante con la Capanna Regina Margherita a 4559 m di quota e comprendente il glorioso Osservatorio presso l'Istituto Scientifico Angelo Mosso al Col d'Olen, a 2901 m. 

Di tutto ciò, così come per altri osservatori ultracentenari, oggi non resta che il ricordo di qualche fotografia dai toni seppiati. Il patrimonio più importante per la scienza del clima, nonché la testimonianza del paziente lavoro di uomini competenti e determinati, è oggi affidato a poche copie di registri cartacei sparsi negli archivi di mezza Italia, spesso finiti nella spazzatura proprio per mano di chi, pur non valorizzandoli, avrebbe almeno dovuto garantirne la conservazione. Alcune banche dati informatizzate sono state recentemente create dagli enti più diversi, ma la mancanza di un progetto omogeneo non permette di mettere a frutto gli sforzi (ed i costi) sopportati dalle generazioni passate. Per chi non lavora nel settore è difficile rendersene conto, eppure il turpe trattamento che gli anni 1970-80 hanno riservato al patrimonio del passato è assolutamente imperdonabile, tanto più se rapportato ai mezzi ora disponibili. Umberto Mònterin, direttore degli Osservatori del Monte Rosa, affrontava negli anni '30, estate ed inverno, interminabili marce per garantire la funzionalità degli strumenti, talora a rischio della propria vita, nessuna funivia, nessun gore-tex, solo gli sci di frassino e gli scarponi chiodati. Crediamo che nei suoi confronti, come in quelli di centinaia di altre persone senza nome che per anni hanno misurato i dati nei più sperduti posti termopluviometrici delle Alpi, l'unico sentimento a noi legittimo sia la vergogna. Il Denza, in una relazione sulla meteorologia di montagna tenuta a Ginevra nel 1879, durante il Congresso Internazionale dei Clubs Alpini, cita le osservazioni meteorologiche pionieristiche condotte a 3330 m del Passo del Theodulo (Valtournenche) durante l'intero inverno 1865-66, osservando: "Quei pazienti osservatori somministrarono in tal modo l'unica serie di osservazioni regolari in tutta Europa [a quelle quote]. Io, che mi trovo in relazione cogli osservatori delle nostre stazioni di montagna, conosco interamente le sofferenze a cui questi bravi soldati della scienza vanno di continuo soggetti, e la loro abnegazione per vivere in quelle alte regioni durante l'inverno". 

E cosa dire delle centinaia di stazioni del Servizio Idrografico? Salvo rari episodi, hanno attraversato in perfetta efficienza due conflitti mondiali, oggi sono sull'orlo del baratro: le prime a soccombere sono state quelle affidate alle parrocchie o a singoli cittadini, che via via demotivati dalla latitanza dei vertici dirigenziali hanno abbandonato gli strumenti a guisa di inutile suppellettile; adesso è la volta delle stazioni ubicate presso gli impianti idroelettrici che, da oltre cinquant'anni gestite con cura dal personale di presidio, sono soppresse da un giorno all'altro via via che le centrali vengono automatizzate. E quanti sono i termometri collocati oltre quota 2000 con la scala che arriva solo a 15 gradi sotto zero? E' troppo facile attribuire questo sfascio alle sole ristrettezze economiche, purtroppo si tratta spesso di doloso disinteresse e delirante incompetenza. I dati che negli anni '20 erano pubblicati a cadenza mensile (e nel 1880 addirittura su bollettini decadici!), oggi, nell'era dei computer, sono fermi al 1981. Tuonava Denza nel 1867: "La meteorologia, più che ogni altra scienza, abbisogna di comunicazioni - e pronte - de' fatti osservati". Ed è ancora l'instancabile studioso barnabita che, in occasione della Prima Riunione Meteorologica Italiana, voluta a Torino nel 1880 dal Club Alpino Italiano, conclude i lavori "coll'attestare la speranza che egli nutre vivissima nel prospero avvenire della meteorologia in Italia, se perdurerà intatta la concordia di animo e la fermezza di proposito di cui si ebbe sinora così splendida prova". E rimase speranza, poiché ottenere oggi dati meteorologici in Italia è impresa ardua, non che essi manchino, ma è come avventurarsi in un labirinto irto di trabocchetti. 

Chi si rivolge alla massima autorità, ovvero il Servizio Meteo dell'Aeronautica Militare, deve provvedersi di un buon vocabolario italiano-burocratese per decifrare cavillose missive predisposte per complicare la consegna dei dati richiesti. Ci viene a proposito pensare al nostro amico Gianni, lui che ha l'hobby tanto originale quanto intelligente di collezionare temperature di tutto il mondo: possiede un archivio formidabile, per quanto ne sappiamo l'unico nei circa 30000 km2 di territorio di nostra competenza. Ebbene, ci ha mostrato a decine le lettere dei servizi meteorologici di Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Svizzera, Turchia, Germania, Canada, che con garbo e semplicità accompagnano annali, mappe, tabulati e perfino dischetti per computer (sì, e da Mosca!), felicitandosi per l'interesse e magari scusandosi per la possibile difficoltà della lingua utilizzata. Ma i numeri, sono sempre numeri e si comprendono anche sulle tabelle della siberiana Verhojansk, ovviamente se sono corretti ed affidabili. 

Torniamo perciò in Italia e parliamo del controllo qualitativo delle misure: basta una foglia ad otturare un pluviografo rendendo vana un'intera annata di lavoro, eppure qualsiasi numero viene pubblicato con l'imprimatur delle massime autorità dello Stato. Citiamo - uno fra tanti - il caso di un annuario meteorologico edito dall'ISTAT, che riporta per una stazione dell'Alta Valle di Susa, peraltro ubicata presso un pubblico istituto di ricerca, una precipitazione annua nel corso del 1983 pari a 30 mm, quanto cade in alcune plaghe sahariane (il valore reale fu probabilmente prossimo a 800 mm). Ed i 39 gradi attribuiti a una stazione della Valpelline - se non fossimo andati di persona a controllare uno strumento rivelatosi a pezzi-, costituirebbero ora uno dei massimi storici della temperatura delle Alpi, approvato dalla letteratura scientifica! Su questi numeri, gli ingegneri del futuro progetteranno ponti e dighe, dimensioneranno acquedotti e canali, mentre i climatologi si arrovelleranno alla ricerca di funzioni matematiche in grado di interpretare inspiegabili trend.

Fin qui gli ultimi fuochi dell'eredità del passato; un panorama desolante che, inoltre, nel suo vegetare stentato, nella sua inefficienza, nella sua cecità verso la preziosità insostituibile del patrimonio storico, ha avuto ed ha tuttora un costo per la società civile: anche se inadeguate, costano le strutture, anche se pochi, costano gli uomini, anche se obsoleti costano gli strumenti. E' ancora Francesco Denza che, al congresso meteorologico di Vienna del 1873, osserva: "Non basta l'avere stabilita una buona vedetta di meteorologia, ma importa grandemente tenerla d'occhio, educarla e sorreggerla di continuo affinché possa produrre i desiderati frutti". Una norma che è ancora oggi inserita nei manuali dell'OMM.

E improvvisamente, sono i primi anni ottanta, esplode la domanda di informazione ambientale, si moltiplicano studi, ricerche, pianificazioni. Alla richiesta, com'era da attendersi, il panorama della meteorologia italiana mancò di fornire quella risposta rapida ed efficace, e via via le varie realtà coinvolte si trovarono nell'esigenza di provvedere autonomamente: nascono così alcuni servizi meteorologici regionali, altri provinciali, piccole reti gestite da enti pubblici e privati, ciascuno avente obiettivi e caratteristiche singolari. Restiamo dunque nel bacino padano: la Regione Emilia Romagna fonda nell'ambito del proprio Ente di Sviluppo Agricolo un attivissimo Servizio Meteorologico Regionale, rivolto in primo luogo all'assistenza in agricoltura, poi gradualmente esteso alla totalità dell'utenza; la Regione Veneto apre ad Arabba, nelle Alpi bellunesi, il proprio centro sperimentale per l'Idrologia e lo studio delle valanghe seguìto nel 1992 dal nuovo centro meteorologico di Teolo (Padova) dotato di radar ed attivo anche a supporto dell'agricoltura. Il Friuli Venezia Giulia sceglie di occuparsi in maniera più approfondita degli studi sulla grandine, il Trentino Alto Adige gestisce un centro sperimentale per la meteorologia a supporto dell'agricoltura montana, la Regione Lombardia si unisce con il proprio servizio agrometeorologico, il Settore Geologico della Regione Piemonte costituisce una moderna rete automatica di monitoraggio meteoidrografico e radar, affiancata dall'Ente di Sviluppo Agricolo per l'attività agrometeorologica; la Regione Valle d'Aosta inaugura una nuova rete automatica di misura rivolta ai problemi dell'inquinamento, l'ENEL, desideroso di affinare le previsioni meteorologiche mirando soprattutto alla gestione oculata delle risorse idroelettriche, attiva un progetto sull'intero arco alpino; piccole reti vengono gestite ancora da istituti universitari, dal CNR, dall'ENEA, qua e là intervengono i Ministeri dell'Ambiente, dell'Agricoltura, della Protezione Civile, dei Lavori Pubblici, la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, e così via, fino ad arrivare ai singoli comuni, agli acquedotti, alle discariche ed ai depuratori, alle scuole, ai consorzi tra agricoltori ed ai soggetti privati; solo i servizi di previsione valanghe, peraltro utenti della meteorologia, hanno dimostrato una maggior volontà di coordinamento concretizzatasi nell'AINEVA (Associazione Interregionale Neve e Valanghe). 

Tutto questo fermento è senza dubbio positivo, ha colmato in parte il deficit di informazione, ha creato nuove professionalità. Ma ha un grave vizio di fondo: è un sistema estremamente costoso, per nulla coordinato, che non conosce il vocabolo efficienza. Ciascuna entità lavora secondo proprie norme - purtroppo non sempre conformi a quelle internazionali - si configura amministrativamente nei modi più svariati, insegue obiettivi simili ma talvolta non compatibili, raramente valorizza le strutture già esistenti troppo spesso incrostate da una burocrazia impenetrabile. Tale assetto è, mai come in meteorologia, del tutto assurdo, sia per la disomogeneità e la dispersione, anzi polverizzazione, delle informazioni acquisite, sia per la mancata sinergia tra mezzi e competenze che - se ben impiegati in un ambito coordinato e funzionale, avrebbero già fornito alla Nazione quello standard qualitativo che oggi si richiede invano. 

E si badi bene, non si tratta di una mancanza di interesse per l'argomento: al di là delle già di per sé eloquenti stime dell'OMM che valutano il rendimento dell'investimento meteorologico da un minimo di 1:20 fino ad oltre 1:70 (e quando sono in gioco vite umane, spesso l'economia conta poco), nel nostro Paese assistiamo ad un enorme proliferare di studi ambientali, pianificazioni territoriali, progetti di gestione delle risorse idriche, istituzione delle autorità di bacino...quintali di carta in gran parte prodotti in ottemperanza a leggi dello Stato. Ebbene queste analisi costano miliardi, e sono divoratrici di dati fra cui quelli meteorologici: ma quante volte ci è capitato di vedere utilizzare per i calcoli le vecchie ed ormai esauste tabelle termopluviometriche del trentennio 1921-50! Sono le stesse leggi a chiedere allo Stato quanto esso non può più dare. Ma gli altri Paesi alpini, come hanno affrontato questi problemi, che tipo di servizio sono in grado di offrire? Curiosiamo, dunque, in Francia ed in Svizzera, e non per essere tacciati di esterofilia: parlano i fatti. Chi frequenta i ghiacci degli Ecrins o la Meije, passando per Briançon, trova lungo le strade, assieme alle indicazioni di hotels e centri commerciali, anche quelle della "Station Météo"; in un moderno edificio, la vetrina "Meteo Montagne" vi accoglie con praticità, permettendovi di consultare le previsioni fino a cinque giorni per il Dipartimento delle Hautes-Alpes aggiornate al mattino ed al pomeriggio, compresi i festivi. E chi vuole saperne di più, entra dalla porta così come si entra dal giornalaio, trovando al proprio servizio la competenza di meteorologi professionisti, il cui unico compito è quello di tenere sotto controllo il tempo delle "loro" montagne. 

Così abbiamo fatto noi il mattino di Capodanno, portando gli auguri di rito da parte dei colleghi italiani, ahimè, assai lontani per quanto il confine sia a soli 10 km. Yves Clémenceau, "Chef de Centre", ci accoglie con semplicità illustrando l'attività del centro dipartimentale, uno dei tanti che Météo France gestisce su tutto il territorio nazionale. E questa è una delle principali differenze rispetto alla nostra impostazione: il concetto di un servizio assolutamente unitario ma decentrato, a contatto con le esigenze specifiche del territorio. A Toulouse, a due passi dai Pirenei, Météo France ha il proprio quartier generale, un vero quartiere, il Météopole, perfino la linea dell'autobus si chiama così. Oltre 500 tecnici lavorano qui, in una sequenza di palazzi di vetro sparsi fra i prati, nei cui sotterranei pulsa il CRAY-II, uno dei più potenti calcolatori elettronici esistenti al mondo. Da qui le previsioni numeriche nazionali vengono diffuse in tempo reale ai centri dipartimentali che ne curano un ulteriore affinamento in base alle specifiche caratteristiche climatologiche e geomorfologiche. A Briançon ci sono sette meteorologi che assicurano turni di servizio permanente, come a Chamonix o a Bourg-St-Maurice. La stazione dipartimentale è un polo attivo che concentra e gestisce la maggior parte delle informazioni riguardanti il clima del proprio territorio: è un punto di riferimento tanto per il turista quanto per l'ingegnere. Ovviamente, non tutti i servizi sono gratuiti: al di là dell'affissione dei bollettini previsionali - che per dettaglio ed affidabilità, garantiamo di persona, sono formidabili-, le consulenze specifiche ad uso professionale sono soggette ad un tariffario. Ma chi voglia consultare attraverso il Minitel (disponibile anche sulla rete Videotel italiana) le previsioni meteorologiche, per 360 lire al minuto disporrà per la zona di suo interesse tutto quanto è desiderabile per programmare in sicurezza la propria attività, nonché i dati termici e pluviometrici dei giorni precedenti, anche solo per soddisfare una legittima curiosità. 

Nulla a che vedere con l'equivalente servizio sul Videotel italiano offerto dall'Aeronautica, che costa 220 L./min ed è composto da brevi messaggi sibillini in quanto riguardanti territori enormi. Non esiste differenziazione delle zone alpine, solo qualche riferimento ai settori Occidentale o Orientale. Nessuno si potrà aspettare di trovare previsioni esplicite per le valli del Cuneese o per il Massiccio del Monte Rosa. Viene fornita una tabella - invero poco leggibile - di previsioni numeriche per una sessantina di località italiane, che per la zona Padano-Alpina riguardano: Torino, Novara, Monte Fraiteve (dove l'Osservatorio è stato chiuso), Milano, Brescia, S.Valentino alla Muta, Bolzano, Verona, Vicenza, Treviso, Venezia, Aviano, Tarvisio, Trieste. E' un pò poco per comprendere la meteorologia delle Alpi (dove sono Monviso, Valle d'Aosta, Ossola, Valtellina?). Il Dipartimento francese delle Hautes-Alpes ha meno di 120000 abitanti su 5000 km2; Piemonte e Valle d'Aosta ne contano 5 milioni su quasi 30000 km2 -, ma non possiedono strutture in grado di assicurare un'informazione meteorologica che la Francia offre invece personalizzata anche su Alpes Maritimes, Alpes de Haute-Provence, Isère, Savoie ed Haute-Savoie. Ma, ci dice Clémenceau, quante difficoltà a prevedere i fenomeni provenienti da Est: quando dai colli delle Cozie soffia la "Lombarde", la meteorologia del versante italiano è un buco nero. 

Le previsioni che in Italia vengono spacciate per locali, vedi vari quotidiani o reti televisive regionali, salvo rari casi, non sono altro che fantasticherie, fumetti costruiti sulle poche righe fornite dall'Aeronautica e diffuse dalle agenzie di stampa. I modelli matematici a scala locale, ad eccezione qualche caso come Emilia Romagna o Veneto, non sono ancora stati creati. In Piemonte, per informarsi sul tempo, viene naturale rivolgersi all'Ufficio Meteorologico dell'Aeroporto di Torino Caselle, i cui responsabili, trattandosi di Azienda Autonoma di Assistenza al Volo, investiti di mille altri compiti diversi dalla meteorologia, non si stancano di indirizzare continuamente altrove i malcapitati. Quanti hanno la fortuna di vivere presso le frontiere, si sono ormai abituati a scroccare le previsioni altrui: fatevi un bel soggiorno nella verde Ossola, dove tutti conoscono la cordiale correttezza di Giovanni Kappenberger che dall'Osservatorio di Locarno Monti (Istituto Svizzero di Meteorologia), vi informerà su temperature e perturbazioni in perfetto italiano dalle sfumature teutoniche. Inutile dire che tutti i dati climatologici delle stazioni svizzere sono disponibili pochi giorni dopo la fine del mese su pratiche tabelle che chiunque può richiedere alla puntuale sede di Zurigo.

Non ci resta dunque che augurarci, invero con l'amaro in bocca, che l'attuale situazione della meteorologia italiana, non solo evolva verso una reale crescita armoniosa delle proprie funzioni, ma soprattutto, almeno per incominciare, che arresti l'imperdonabile degrado della propria eredità di un passato assai più degno di essere ricordato.

Al Professor Sabino Palmieri, illustre studioso di meteorologia al Dipartimento di Fisica dell'Università "La Sapienza" di Roma, abbiamo chiesto un autorevole parere sulla drammatica situazione in cui si trova il settore nazionale delle previsioni del tempo:

Dulcis in fundo l'Aeronautica Militare, in tempi recenti, pervasa da sacro zelo per il salvataggio dell'economia nazionale, ha frettolosamente "ristrutturato" il proprio Servizio Meteorologico riducendolo nel personale, nelle infrastrutture e nei mezzi al punto da metterne in pericolo la funzionalità. A seguito di questo ridimensionamento, la parte operativa del Servizio Meteorologico è stata dislocata presso una base militare decentrata e poco accessibile, riducendo così le occasioni di collaborazione e di stimolo che provenivano dall'utenza civile e dalla comunità scientifica. Le funzioni di telecomunicazione, ivi compreso il collegamento con il Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine, e le funzioni di ricezione immagini da satellite sono invece rimaste distaccate dall'ente operativo che ha così perduto i "ferri del mestiere". Anche se non esplicitamente dichiarato sembra dunque che l'Aeronautica intenda ridurre l'attività del settore ad una piccola unità dedicata prevalentemente alle esigenze meteorologiche di Forza Armata. Appare dunque urgente fare pressione in tutte le sedi opportune, perchè anche l'Italia, come tutti gli altri Paesi europei, venga dotata di una Agenzia Meteorologica Nazionale civile capace di coordinare ed amalgamare le attività dei vari enti che operano in campo meteorologico, di gestire i rapporti con le Istituzioni internazionali e di attivare un intenso interscambio con la comunità scientifica.

Paolo Bonelli, meteorologo presso il Dipartimento Studi e Ricerche dell'ENEL, ci fa da guida nel complesso problema della meteorologia alpina:

Ogni escursionista conosce la spiccata variabilità dell'atmosfera di montagna. I bollettini del tempo diramati dai mass-media, raramente offrono dettagli per le zone con orografia articolata. Ed inoltre, anche i dati meteorologici di zone di montagna non sono quasi mai divulgati, a parte i discutibili bollettini della neve diffusi a scopo turistico. Sorge allora un dubbio: è impossibile fare previsioni del tempo in montagna per via di questa grande variabilità, o piuttosto è colpa dell'assenza di dati e dell'attuale stato dei servizi meteorologici italiani, che sono appena in grado di fornire previsioni generali per il territorio nazionale? Il fatto che in Francia e in Svizzera questo tipo di assistenza esista fa propendere per la seconda ipotesi. In realtà, ottime previsioni destinate a singole aree montane si potrebbero fare anche in Italia. Occorrerebbe in primo luogo coordinare l'attività di gestione delle varie reti di misura oggi presenti, in modo da concentrarne i dati in un'unica struttura. Sono necessari meteorologi dedicati esclusivamente a tale compito, ai quali si deve fornire, oltre alle misure sulle aree interessate, anche l'informazione di base sulla circolazione atmosferica, proveniente dal Centro Europeo di Reading, struttura alla quale l'Italia partecipa con un contributo di circa 6 miliardi all'anno. Ogni giorno, i prodotti numerici di un modello matematico dell'intera atmosfera, ottenuti con l'ausilio di uno dei più potenti calcolatori del mondo, affluiscono al Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare e rappresentano la materia prima con la quale il meteorologo formula le previsioni, attraverso un'interpretazione alla luce delle conoscenze meteo-climatiche della zona esaminata. Proprio per questo la figura del meteorologo locale è importante.

 Nel nostro Paese, purtroppo, lo scarso sviluppo di servizi meteo locali, diversi da quelli aeroportuali, oltre alla difficoltà di disporre dei prodotti del centro di Reading - accessibili a pochi eletti-, hanno privato i cittadini di considerevoli progressi che si sarebbero potuti raggiungere nella prevenzione degli incidenti dovuti al maltempo. Recenti ricerche hanno dimostrato che eventi atmosferici violenti, causa di frane, valanghe, alluvioni, non sono da considerarsi del tutto imprevedibili: un'adeguata informazione meteorologica, permettendo l'attivazione di misure di protezione, potrebbe limitare i danni economici e salvare vite umane. Alcuni gruppi di ricerca, in Italia, con scarsissime risorse rispetto a quanto avviene in altre nazioni europee, stanno mettendo a punto modelli matematici di atmosfera per migliorare il dettaglio territoriale delle previsioni. Ma anche quando esisteranno i modelli, resta irrisolto il problema di dove reperire i meteorologi con esperienza locale in grado di interpretarne i dati, una figura professionale, ahimè, non ancora prevista dal nostro antiquato sistema didattico-accademico.

Ecco come l'utente si scontra con la meteorologia italiana (lettera apparsa su La Stampa del 2 giugno 1992):

"I vari servizi della SIP tendono ad una totale automazione: servizio sveglia, servizio chiamate urgenti e tra le molte altre il bollettino meteorologico delle previsioni del tempo che corrisponde al numero 1911. Purtroppo per chi come me svolge una delicata attività di accompagnatore di gruppi in montagna, dove la variabilità del tempo è più marcata, questo servizio è totalmente insufficiente ed obsoleto. Il nastro più di una volta non corrisponde nemmeno alle fasce orarie per cui è stato registrato e tantomeno aggiornato da una repentina variazione. Dalla SIP mi è stato fornito un numero diretto per parlare con il servizio militare delle previsioni del tempo. Gli addetti, seppur gentilissimi, più di una volta mi hanno fatto notare che mi fornivano le previsioni solo per un senso di cortesia, ma non è un loro dovere. Mi rendo perfettamente conto che se ogni cittadino interessato al pic-nic telefonasse per sapere se può andare al mare o in montagna, il servizio meteo potrebbe chiudere i battenti, d'altro canto, essendo tra gli addetti ai lavori, troppe volte alpinisti non professionisti sono partiti fiduciosi per un'ascensione fidandosi del bollettino regionale e sono stati colti in quota dal maltempo. In Francia e Svizzera esistono già ponti radio per parlare con il servizio meteorologico, qui da noi, come purtroppo detto all'inizio, tale servizio non è pubblico e nemmeno per gruppi specializzati". (Lodovico Marchisio).

 


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