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OPINIONI
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L'INCUBO DELL'INVERNO
"NERO"
Luca Mercalli
Tratto da "Il Sole 24 Ore", 20.09.1998In questi giorni
dinizio autunno tra i piloni delle seggiovie e degli skilift, c� chi lavora
alacremente: manutenzioni, controlli, segnaletica, e tutto quanto serve per aprire al
meglio la stagione sciistica 1998-99. Tra qualche settimana potrebbe arrivare la prima
consistente nevicata e tutto deve essere pronto. Quello che agli operatori turistici non
va gi�, � proprio luso del condizionale. La neve, materia prima indispensabile di
questa industria alpina, � infatti quanto mai capricciosa, e potrebbe anche non
presentarsi allappuntamento. E vero che la variabilit� climatica impone una
naturale incertezza della frequenza e dellabbondanza delle nevicate, ma da qualche
anno a questa parte, gli anticicloni invernali o le perturbazioni anomale, si sono
trasformati in incubi, e sempre pi� spesso le telecronache delle grandi competizioni
sciistiche, siano esse in Canada, in Giappone o sulle nostre Alpi, mostrano pioggia o
farfari fioriti fuori stagione. Ma � vero che nevica meno? A questa domanda non � certo
possibile rispondere facendo appello alle fallaci memorie umane, ma � necessario
ricorrere alle statistiche climatologiche, basate su decenni di regolari misure quotidiane
di altezza della neve. E proprio di questi giorni la conclusione di uno studio,
sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, che ha consentito di analizzare i
dati di oltre 60 localit� del Piemonte e della Valle dAosta dai primi anni del
secolo ad oggi. Da questo lavoro, presentato mercoled� scorso alla XXV edizione della
Conferenza Internazionale di Meteorologia Alpina tenutasi a Torino, emerge che, a partire
dal 1981, esiste una netta evidenza di riduzione della nevosit�. Ben 12 degli ultimi 17
anni presentano infatti un innevamento inferiore alla media del trentennio precedente. Se
consideriamo la serie dei dati di Bardonecchia, vediamo ad esempio che la quantit� media
di neve che cade in un anno � passata dai 257 cm del periodo 1961-80 ai 191 del 1981-96,
con una riduzione del 26%. Tra questi anni magri, non sono mancati veri e propri estremi
negativi, con gli inverni "neri" del 1981, 1989 e 1990. In sostanza, nevica meno
e fa pi� caldo anche dinverno, con il risultato che il manto nevoso ha una minor
durata. Il problema dellaumento termico a scala globale, ormai riconosciuto senza
riserve dallOrganizzazione Meteorologica Mondiale come fenomeno in atto, rischia
inoltre di compromettere lefficacia dellinnevamento programmato, dal momento
che i noti cannoni sparaneve sono piuttosto esigenti in fatto di opportune combinazioni di
freddo e umidit� dellaria. Di questi timori si era gi� parlato diffusamente in un
bel convegno dallaccattivante titolo "Neve e clima", tenutosi a Ginevra
nel settembre 1994, al quale - sebbene espressamente invitati - parteciparono ben pochi
decision-makers del ramo turistico. In quelloccasione, fra altri lavori,
un�quipe di ricercatori di M�t�o-France illustr� gli effetti di un futuro pi�
caldo sulla durata dellinnevamento nelle Alpi francesi: a 1500 m, nel giro di
qualche decina danni, i giorni con suolo bianco potrebbero diminuire di 30-40
unit�, passando, per citare qualche esempio, da 174 a 132 nella regione del Monte Bianco
e da 100 a meno di 60 nei massicci pi� meridionali. Sarebbero dunque i comprensori
sciistici delle quote medio-basse a soffrire di pi� per i colpi delleffetto serra,
come ribadisce il vasto e approfondito rapporto PROCLIM redatto dallAccademia delle
Scienze elvetica, che - non a caso - quantifica in svariati miliardi di franchi le
potenziali future perdite economiche nel settore del turismo invernale e del suo indotto.
Questa linea di ricerca fa riflettere sullavventatezza con la quale ancora oggi
vengono effettuati faraonici investimenti per la costruzione di impianti di innevamento
programmato che probabilmente avranno un maggior futuro come irrigatori per fiorenti
pascoli dalta quota. Neve e freddo sono i principali ingredienti anche per la
formazione e il mantenimento dei ghiacciai alpini, di cui molto si � detto durante questa
lunga ed eccezionalmente calda estate 1998. Inutile dire che anche anche loro battono in
ritirata. Il fenomeno dellarretramento dei ghiacciai � in atto da oltre un secolo,
ma in effetti, nellultimo decennio questa situazione si � aggravata. In
particolare, proprio la stagione appena trascorsa ha causato unimponente fusione, da
due a quattro volte superiore alla media. In termini economici, che significato rivestono
i 600 km2 di ghiaccio italiano? Pur non essendo gran cosa rispetto ai 3000 km2
dellintera catena alpina, il loro ruolo � in primo luogo ambientale. Il ghiacciaio
� un patrimonio paesaggistico di grande fascino, un elemento dattrazione turistica
insostituibile. Le pessime condizioni dei ghiacciai di questestate non hanno mancato
di sollevare stupore tra la folta comunit� degli alpinisti che si sono trovati alle prese
con percorsi completamente rivoluzionati. Ma al di l� del ruolo ricreativo, il ghiaccio
� una riserva dacqua per le valli alpine, che seppur limitata, contribuisce ad
alimentare buona parte del sistema idroelettrico dellItalia settentrionale. Per
qualche anno, la maggior fusione glaciale si tradurr� anche in maggior disponibilit�
dacqua, ma quando molti dei piccoli ghiacciai a quote medie saranno scomparsi,
verr� improvvisamente a mancare un elemento caratteristico del ciclo dellacqua.
Altre implicazioni di queste variazioni climatiche, come la migrazione delle specie
vegetali e la comparsa di nuovi parassiti nocivi allagricoltura e alle foreste, pur
essendo al momento difficili da prevedere e quantificare, fanno parte di una lunga lista
di alterazioni dellequilibrio degli ecosistemi che deve essere tenuta in
considerazione. Il territorio alpino, per la sua singolarit� sia ambientale sia
culturale, � particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici. Che essi siano causati
dalluomo o derivino da una naturale evoluzione dellatmosfera terrestre, a
questo punto non ha pi� importanza. Il ruolo del costante studio e controllo dei
parametri climatici � attualmente quello di consentire una previsione di tendenza a medio
o lungo termine. Gli "scenari climatici" che i climatologi si sforzano di
produrre con sempre maggior affidabilit�, non devono restare sterili esercizi accademici,
ma costituire un elemento di scelta e di pianificazione per dirigere leconomia e il
costume di una societ�. E pur vero che la statistica non offre certezze ma solo
probabilit�. Ma quandanche i risultati offerti dai modelli siano di poco superiori
al casuale lancio della moneta, non c� ragione di non considerarli. Potrebbe essere
troppo tardi agire sotto lincalzare degli eventi, climatici, sintende.
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