NEVOSI PENSIERI
La nevicata del 13-14 dicembre 2001
di Luca Mercalli - 16 dicembre 2001
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E’ bufera
Chiudiamo l’ufficio alle 19. Dirigo l’auto verso ovest, sull’autostrada raffiche violente da nordest fanno barcollare la vettura. Ore 19:30, bassa Valle di Susa, i primi fiocchi piccoli e leggeri iniziano a cadere, ma il vento rinforza. Appena il tempo di risalire lungo la tortuosa salita a quota 500 che il suolo si vela di bianco e i cristalli volano raso terra in scie sinuose come serpenti marini sull’asfalto gelato.
Temperatura (nero), velocità massima
del vento (grigio) e umidità relativa (verde) dal 13.12.01 al
15.12.01 ad Almese, 500 m bassa Val di Susa (TO)
Auto parcheggiata, entro in casa, fa freddo. Accendo una, due, tre stufe. Per questa sera legna di frassino e faggio, i più bei ciocchi, stagionata a puntino, riserva speciale. Intanto fuori ce n’è già mezzo centimetro, il panorama è cambiato e il grecale fa turbinare i fiocchi. La temperatura decresce rapidamente, che favolosa irruzione, meno uno, meno due, tre, quattro… Il manto cresce a vista d’occhio per lo stau da nordest sulle Prealpi, un paio d’ore e siamo quasi a dieci centimetri. Intanto devo rimanere piazzato davanti al computer per una quarantina di minuti, c’è un articolo da scrivere, ovviamente sul tempaccio che c’è fuori.
I comignoli fumano e la bufera impazza. Potrebbe sembrare retorica, invece è proprio così, non credo ai miei occhi quando, verso le 21, raffiche violente ammucchiano polvere bianca a meno cinque contro i vetri delle finestre. Apro la porta: una folata di gelida tormenta irrompe in casa, i fiocchi scorrazzano in soggiorno, si depositano sul pavimento di larice e lì rimangono goccioline d’acqua. E’ bufera vera, qui, a cinquecento metri, rara, ma ancor più in pianura: telefono in città, anche lì scaccianeve e sibili di vento.
Mi viene in mente Buzzati con il colonnello Sebastiano Procolo irrigidito dal gelo e dalla neve ne
“Il segreto del bosco vecchio”, del 1935:
«Chissà da dove venuto, verso le 22,15 [del 31 gennaio], un piccolo vento rabbioso, sconosciuto in quella vallata, cominciò a strisciare nel canalone facendo tormenta. Fino a circa un metro e mezzo da terra la neve si mise a turbinare, scintillando sotto la luna. Il tabarro del colonnello non bastava. Il Procolo sentiva la neve diaccia penetrargli anche dentro la giubba, gli occhi non si potevano tenere aperti, le mani, nonostante i guanti, si raggelavano. … Forse quel vento ci prese gusto, la tormenta si fece sempre più violenta. In alto era tutto sereno, la luna proseguiva il suo consueto viaggio. … Tra le ampie pieghe del tabarro, che svolazzava spaventato, la tormenta faceva un opaco fischio. Dài e dài, i movimenti del colonnello si fecero man mano più lenti, mentre il vento alzava la voce. … Finalmente egli si trasse in disparte, ritirandosi su un fianco del canalone, e appoggiandosi a un tronco d’abete. La tormenta gli si fece attorno, turbinò a lungo sotto la pianta, ammucchiò neve su neve, sommergendo in pochi minuti gli stivali del colonnello. … La tormenta s’andava smorzando. Non era più che un veloce turbinìo a fior di terra, che faceva un sottile rumore. Ma il Procolo rimaneva fermo, appoggiato con le spalle all’abete. La neve ammucchiata dal vento lo aveva sepolto fino a metà gamba, eppure egli non si muoveva per liberarsi, come se fosse stato paralizzato. Infatti Sebastiano Procolo non era più capace di muoversi. Il gelo gli era entrato nel corpo, intorpidendo le braccia e le gambe. … La tormenta era quasi scomparsa. Mezzanotte era ormai vicina. … L’aria era gelida e serena».
“Ogni creatura sta chiusa per lo freddo ne' sua ostelli. “
Ma qui da noi la luna questa sera non si vede, e continua a nevicare forte. Mezzanotte, esco fuori a misurare, siamo a venti centimetri, la bufera si sta placando, nevica più lentamente, sempre fine, temperatura meno sei.
Rientrare in casa è un piacere da gustare lentamente. Atmosfere mille volte viste nei film nordamericani o nelle cartoline natalizie, ma che poi non capitano quasi mai: il fuoco acceso, la luce morbida dai toni legnosi, il silenzio ovattato del materasso nevoso, i fiocchi intravisti in controluce sotto il lampione stradale. Momenti che fanno parte del patrimonio personale di tutti coloro che amano la neve e l’inverno, forse perché l’inospitale ambiente esterno ravviva l’intimo godimento del focolare domestico, l’ancestrale caverna che è in noi con i bagliori delle fiamme che disegnano sulle pareti di roccia ombre ora amiche ora sinistre. Boccaccio mi regala questa delle sue
“Rime” (Parte 1,37):
Vetro son fatti i fiumi e i ruscelli
gli serra di fuor ora la freddura;
vestiti son i monti e la pianura
di bianca neve e nudi gli arbuscelli,
l'erbette morte, e non cantan gli uccelli
per la stagion contraria a lor natura;
Borea soffia, e ogni creatura
sta chiusa per lo freddo ne' sua ostelli.
Sono ormai le due di notte. Come dormire? E perdere forse questo raro paesaggio?
Mi siedo di fronte alla stufa dove la brace rosseggia dal vetro e rapidi guizzi azzurrognoli si levano da un bel pezzo di frassino in parte carbonizzato. Si sta bene, ma qualcosa non è ancora a posto: già, non vedo la neve, il lampione è coperto. Sposto le tende, e correggo la posizione della mia seggiola con approssimazioni successive. Voglio vedere anche il display della stazione meteo, con il suo meno sei. Stufa-neve. Display-neve. Display-stufa. Ancora qualche centimetro, ecco questo è il punto giusto: stufa, neve, display. Altro che cinema, altro che videogiochi. Il cervello cerca di registrare tutte le sensazioni, i bagliori delle fiamme, l’aria tiepida e leggermente odorosa di fumo, i fiocchi che cadono, ora più intensi, ora più piccoli e radi, ora disturbati dal vento, i decimi di grado che si muovono di tanto in tanto sul visore meteo, meno sei-punto-zero, meno-cinque-punto-nove, meno sei-punto-uno…un’anta che sbatte leggermente sulla facciata orientale, il rumore attutito dalla neve.
E così che giungono le quattro, si può concedere qualche ora al sonno.
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