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Effetto
serra e riscaldamento globale: conoscenze attuali, strategie future
di Luca Mercalli
Estratto dell'articolo pubblicato in NIMBUS 17-18, Marzo 2000Quindici anni fa
Iniziai ad occuparmi di climatologia oltre quindici anni fa, analizzando lunghe serie
climatiche dimenticate. Allora il mio approccio nei confronti dei cambiamenti climatici
dovuti alle attivit� umane era piuttosto cauto. O meglio, non che negassi levidenza
delle alterazioni chimiche dellatmosfera dovute alle emissioni inquinanti, piuttosto
non condividevo - cos� come non condivido oggi - la troppo facile attribuzione di
responsabilit� delluna o dellaltra anomalia meteorologica sempre solo ad
azioni umane. Ai continui articoli che, a seguito di un modesto record locale di
temperatura o di siccit�, chiamavano in causa chiss� quali catastrofici segnali di
cambiamento climatico, rispondevo con la realt� dei numeri: gi� verificatosi una, due,
cinque volte negli ultimi 50 o 100 anni. Era, in sostanza, una reazione ad un malcostume
ancora oggi troppo diffuso anche tra gli addetti ai lavori, quello di giocare a cuor
leggero con i record del clima come se fosse facile sfornarne uno ogni mese. Ben diverse
erano le riflessioni sui veri segnali di cambiamento, non legati ai chiassosi valori
assoluti quanto piuttosto alle pi� lente tendenze sui valori medi annuali. Nel 1985, alla
conferenza WMO-UNEP di Villach, in Austria, usc� un unanime rapporto che stimava un
verosimile aumento termico nel secolo successivo compreso tra 1.5 e 4.5 �C. Tuttavia
erano anni, quelli, nei quali sulle regioni padane si saltava facilmente da un estremo
allaltro: la fredda estate 1984 (forse dovuta alla nube di solfati emessa durante
leruzione di El Chich�n, nel marzo 1982, cfr. "Le Scienze", 187), i geli
siberiani dellinverno 1985, piogge e nevi del 1986 e 1987, calori e siccit�
invernali del 1989-90. I ghiacciai alpini stavano appena uscendo da una fase di buona
alimentazione che fino al 1986 ne decret� perfino lavanzata. Gli studi italiani
sulle serie storiche erano pochi e mediocri. Quanto bastava per non lasciarsi sedurre da
troppo facili giudizi e capirne di pi�.
Fine anni 1970: la CO2
cresce, ma si pensa allera glaciale
Pass� sicuramente sotto silenzio larticolo di G.M. Woodwell, pubblicato sul n.115
di "Le Scienze" (ed. italiana di Scientific American), con il titolo "Il
problema dellanidride carbonica": si era nel marzo
1978, nel pieno di una fase di anni freddi e piovosi che semmai, facevano versare
inchiostro sul paventato ritorno di unera glaciale. Il riassunto di quelle pagine
recitava che "il consumo di combustibili fossili e la distruzione delle foreste hanno
determinato un aumento di anidride carbonica nellatmosfera, il quale potrebbe
portare a profonde modificazioni climatiche". Faceva gi� pi� caldo nel 1982,
allorch� sempre su "Le Scienze" (n. 170) compariva "Anidride
carbonica e clima", di Roger Revelle (1909-1991, geochimico e oceanografo americano
promotore, insieme a Ch. D. Keeling, dellistituzione del famoso osservatorio di
Mauna-Loa, nelle Hawaii, che dal 1957 misura la concentrazione di CO2), ma
linteresse del pubblico e delle istituzioni rimase sopito. Larticolo riferiva
che "� ormai accertato che la quantit� di anidride carbonica in atmosfera � in
aumento e che il fenomeno avr� ripercussioni sul clima, ma non si � ancora in grado di
valutarne qualitativamente gli effetti". Negli Stati Uniti bisogner� attendere la
tremenda siccit�
del 1988...(continua)
......il seguito
dell'articolo � pubblicato su NIMBUS
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