DOVE MI TROVO:  Nimbus Web » Glaciologia» Il caldo dell'estate 2003 sul ghiacciaio Ciardoney

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RIVISTA DI METEOROLOGIA, CLIMA E GHIACCIAI
  

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EFFETTI DEL CALDO STRAORDINARIO DELL'ESTATE 2003 SUL GHIACCIAIO CIARDONEY, GRAN PARADISO
Daniele Cat Berro, SMI redazione Nimbus - 16 agosto 2003

Prosegue il viaggio della Società Meteorologica Italiana tra i ghiacciai delle Alpi occidentali, nel cuore di quella che sicuramente diverrà l’estate più calda sulle Alpi, almeno negli ultimi 250 anni. Il  9-10 agosto 2003 è stato visitato il Ciardoney,  piccolo e remoto ghiacciaio della Valle Soana, sul versante piemontese del Gran Paradiso: la sua superficie di appena 0.8 km2, poco inclinata e con pochi crepacci, lo rende favorevole alle misure di bilancio di massa, iniziate nella stagione 1991-92 con la collaborazione di AEM (Azienda Energetica Metropolitana) Torino, LGGE (Laboratoire de Glaciologie et Géophysique de l’Environnement) di Grenoble e CGI (Comitato Glaciologico Italiano).
 Sabato 9 agosto 2003. La giornata è stabile, soleggiata, e perfino i cumuli, che tradizionalmente avvolgono i pendii della Val Soana, stentano a svilupparsi nel pomeriggio caldissimo. Mentre raggiungiamo a piedi il ghiacciaio, a Torino il termometro segna 40.4 °C, soglia per la prima volta raggiunta in 250 anni (il giorno 11 si raggiungeranno 41.6 °C, massimo storico dal 1753); al Colle Ciardoney (3140 m) ben 10 °C, nonostante l’ombra proiettata da alcuni cumuli.

Ecco il ghiacciaio, qui visto dalla stazione fotografica “F”. E’ completamente annerito dai detriti e spoglio della neve caduta nell’inverno. Durante il sopralluogo effettuato lo scorso 5 giugno erano stati misurati spessori nevosi compresi tra 3 metri al Colle Ciardoney (il sito di misura più elevato) e circa un metro alla fronte, a 2850 m: frutto di un inverno mediocre, avaro di neve dopo le abbondanti precipitazioni di novembre. Gli intensi calori dell’estate in corso (isoterma zero gradi quasi sempre al di sopra dei 4000 metri da fine maggio) hanno poi rapidamente consumato il manto, tanto che alla fronte la neve era già scomparsa intorno alla metà di giugno, con un anticipo di almeno 20-25 giorni rispetto alla media. Il ghiaccio sottostante, ormai privo di copertura nevosa, si è così trovato precocemente esposto alla radiazione solare e a intensa fusione: dall’inizio dell’estate le perdite di spessore del ghiacciaio ammontano a 3 metri sul settore frontale e mezzo metro al Colle Ciardoney, dunque 5-6 cm di ghiaccio se ne sono andati mediamente ogni giorno. Per la valutazione del bilancio di massa stagionale (procedura che, tramite la misura dell’accumulo nevoso invernale e della fusione estiva, consente di sapere se la massa del ghiacciaio è in aumento o in diminuzione, oppure se è stazionaria) occorrerà comunque attendere la metà di settembre. 

Soprattutto sul settore inferiore del ghiacciaio, l’acqua di fusione scorre abbondante scavando solchi sinuosi nel ghiaccio, detti bédières, talora profondi fino a 2-3 metri. Il fine detrito che scurisce il ghiaccio intensifica l’assorbimento della radiazione solare e dunque la fusione.


Il torrente glaciale scorre impetuoso nel pianoro a valle della fronte. E’ tardo pomeriggio, il momento in cui è massimo l’apporto di acqua dal ghiacciaio. Tuttavia anche di notte l’assenza di gelo mantiene attiva la fusione.
I grandi blocchi rocciosi che precipitano sul ghiacciaio dalle pareti circostanti proteggono il ghiaccio sottostante dalla radiazione solare e dalla fusione, mentre intorno la superficie, fondendo maggiormente, si abbassa: si forma così un fungo glaciale, qui visto sul settore mediano del ghiacciaio. Sono visibili soprattutto nelle stagioni calde con forte fusione.
Le Alpi stanno sperimentando una situazione climatica molto particolare, i cui effetti si ripercuotono non solo sulle masse glaciali. Nelle ultime settimane numerosi crolli e frane interessano le pareti rocciose d’alta quota, probabilmente a causa dell’alterazione del permafrost (suolo gelato in permanenza in profondità) dovuta al persistente caldo straordinario. Nell’immagine la parete NE della Grande Uja di Ciardoney, da cui si originano frequenti frane (fascia chiara al centro) che incrementano la copertura detritica sul ghiacciaio sottostante. Il pulviscolo visibile intorno alla vetta è originato proprio da un crollo avvenuto pochi istanti prima dello scatto. Crolli analoghi si sono verificati in questi giorni sulle Levanne (Valle Orco), sul Cervino, e nel gruppo del Mont Gelé (Valpelline), ad esempio.
Domenica 10 agosto 2003. Al Bivacco Revelli (2610 m, a valle del ghiacciaio) l’alba è serena ma straordinariamente mite: alle ore 06.30 il termometro segna ben 12 °C.
Una visione generale del ghiacciaio Ciardoney dal versante sinistro orografico, al mattino del 10 agosto. Solo in prossimità del colle e alla base della parete nord delle Uje di Ciardoney persiste una fascia di neve residua, attribuibile alle stagioni 2001 e 2002. Per il resto tutto il ghiacciaio è in balia dell’intensa radiazione solare.
Anche sui versanti esposti a nord la situazione è sfavorevole, sebbene persistano numerosi accumuli di valanga alla base delle pareti. Nell’immagine il ghiacciaio di Valeille, a breve distanza dal Ciardoney, in territorio valdostano, visto dalla cresta presso la Punta delle Sengie.


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