CO2
a 400 ppm: mai cosi' elevata da 3 milioni di anni
06.05.2013
Nelle ultime
settimane, per la prima volta nella storia dell'umanità, la
concentrazione atmosferica di biossido di carbonio (CO2)
ha raggiunto la soglia delle 400 parti per milione (ppm),
misurate all'osservatorio del Mauna Loa (Hawaii), e l'incremento
procede a un tasso di 2-3 ppm/anno a causa delle ingenti emissioni
dovute alle attività umane (33,5 Gigatonnellate di CO2
emesse globalmente nel 2010, secondo
GlobalCarbonProject).
A tal proposito, proponiamo qui di
seguito l'articolo "Effetto serra, vicini al punto
di non ritorno" di Luca Mercalli, apparso su "La Stampa" il 6 maggio
2013.
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"Quattrocento parti per milione di
biossido di carbonio (CO2)
nell'atmosfera terrestre. Sembra un'informazione priva di interesse, e
invece costituisce un dato epocale. E' la simbolica soglia toccata,
per la prima volta da almeno 3 milioni di anni, dalla concentrazione
di questo gas a effetto serra, il più importante tra quelli
artificialmente incrementati da un'umanità sempre più vorace di
combustibili fossili. Come dire che su un milione di molecole d'aria che
respiriamo, 400 sono di CO2,
un livello non certo tossico per il nostro organismo - lo diviene oltre
circa 5000 parti per milione (ppm) - ma per il sensibile clima terrestre
sì, soprattutto se a controllarlo sono le energivore attività
umane in un pericoloso esperimento globale ormai sfuggito di mano.
Secondo le indagini geochimiche l'ultima volta che si erano toccati
livelli comparabili era durante il Pliocene, tra circa 3 e 5
milioni di anni fa, quando la nostra specie non era ancora comparsa,
la Terra era più calda di 2-3 gradi rispetto a oggi, i livelli marini
più
elevati di 25 metri.
Ricostruzione della concentrazione atmosferica di CO2
negli ultimi 65 milioni di anni: in un lontano passato geologico ci sono stati
periodi in cui questo gas serra era enormemente più abbondante di oggi,
ad esempio tra il Paleocene e l'Eocene, attorno a 50-55 milioni di anni fa (fino
a circa 2000 ppm), ma questo confronto non può rassicurarci in merito
alla situazione attuale... Allora, infatti, il pianeta era completamente
diverso, con un
differente assetto geologico, climatico e ambientale, e nemmeno la
specie umana esisteva, mentre oggi viviamo in un pianeta sempre più
sovraffollato, a corto di risorse naturali e afflitto da molteplici
criticità ambientali, demografiche, sociali, economiche e alimentari che
rendono l'umanità fragile di fronte a bruschi cambiamenti climatici.
Durante il Pliocene (tra circa 3 e 5 milioni di anni fa, freccia rossa)
si raggiunsero, per l'ultima volta prima di oggi, concentrazioni di CO2
prossime a 400, talora 500 ppm
(Fonte:
www.alpineanalytics.com).
Andamento del rapporto
isotopico dell'ossigeno-18 (18O)
nei gusci carbonatici dei foraminiferi, fino a 7 milioni di anni fa.
Valori inferiori (più in alto nel grafico) rispecchiano temperature
atmosferiche ed oceaniche più elevate, e viceversa. Si noti come durante
tutto il medio Pliocene, intorno a 3-3,5 milioni di anni fa, il clima
terrestre fosse più caldo di oggi, in seguito si è raffreddato e le
oscillazioni tra fasi glaciali e interglaciali si sono fatte più ampie
nell'ultimo milione di anni
(fonte:
http://eps.ucsc.edu/).
Anomalie delle temperature
superficiali del mare (SST) durante il Pliocene:
quasi ovunque, salvo sulla fascia equatoriale, le acque erano più calde
di oggi,
fino a oltre + 5 °C sull'Atlantico settentrionale (fonte:
PRISM).
Ricostruzione delle anomalie termiche artiche nel Pliocene rispetto a
oggi, elaborata nell'ambito del gruppo di ricerca
PRISM (Pliocene Research,
Interpretation and Synoptic Mapping), e confronto con dati
paleo-ambientali.
Gran parte della regione artica sperimentava temperature fino a 10-15 °C
più elevate (a fronte di una media globale di 2-3 °C in più rispetto
all'attuale), a conferma della forte sensibilità climatica delle alte
latitudini boreali.
Evidenze di foreste sempreverdi sono attestate perfino nel Nord della
Groenlandia
e nell'arcipelago delle Svalbard, ben al di là dell'odierno limite degli
alberi.
Uno scenario che suggerisce ciò che potrebbe diventare il clima
terrestre nei prossimi decenni, e ce ne sarebbe abbastanza da metterci
in crisi, come da 40 anni ammoniscono climatologi e biologi.
Nulla di nuovo per il pianeta, ma per la
specie umana sì. E tanto più che l'attuale presenza di CO2
nell'aria non è certo stabilizzata qui: nonostante i timidi tentativi
internazionali di riduzione delle emissioni serra, continua a
crescere ormai di quasi 3 ppm all'anno e rischia di proiettarci
verso un riscaldamento atmosferico e una degradazione ambientale senza
precedenti.
Peraltro la soglia ritenuta di sicurezza dagli scienziati, da non
superare per scongiurare cambiamenti climatici irreversibili, è quella
di 350 ppm, già raggiunta nel 1986, e l'attuale superamento delle 400
ppm rappresenta dunque l'ulteriore campanello di un allarme
troppo poco ascoltato che suona ormai da decenni.
Le misure più utilizzate
della concentrazione atmosferica di biossido di carbonio provengono
dall'osservatorio
del Monte Mauna Loa, a quota 3400 metri nelle Hawaii, e
sono attive fin dal 1958. Là, in mezzo al Pacifico, lontano dalle
grandi aree urbane di emissione, si trovano infatti le condizioni ideali
per analizzare campioni d'aria rappresentativi dell'atmosfera globale,
dato che le molecole di CO2,
avendo una permanenza di oltre un secolo, hanno tutto il tempo di
diffondersi omogeneamente a scala planetaria.
Panoramica dell'osservatorio del Mauna Loa (da
NOAA-ESRL).
Cinquantacinque anni fa, in un'epoca in
cui solo pochi pionieri delle scienze del clima parlavano di effetto
serra, fu Charles David Keeling, dottorando al
California Institute
of Technology, insieme a Roger Revelle, oceanografo e
direttore della Scripps
Institution of Oceanography a San Diego, a portare avanti la
battaglia per avviare e mantenere quelle misure continuative a lungo
termine, tra difficoltà logistiche e finanziamenti a singhiozzo.
All’inizio della loro avventura scientifica la concentrazione di
biossido di carbonio era di 316 parti per milione, già in aumento
rispetto alle 280 dell'era preindustriale, ma chissà se immaginavano la
drastica impennata che ci ha portati fin qui.
La crescente “curva di Keeling”,
così è stato battezzato il grafico del CO2
a Mauna Loa dal 1958 a oggi, è uno dei simboli più evidenti della
capacità umana di alterare l'ambiente, e se ne può seguire l'andamento
giorno per giorno su
http://keelingcurve.ucsd.edu/. La sua tipica fluttuazione
stagionale, una sorta di “respiro della Terra”, dovuta alla temporanea
cattura di CO2
da parte della fotosintesi delle grandi foreste boreali, farà sì che tra
qualche giorno la linea inizierà ad abbassarsi, fino a ottobre, di
qualche parte per milione, ma la tendenza non cambia: in assenza di
provvedimenti per la riduzione delle emissioni serra, l'umanità si sta
pericolosamente affacciando su un territorio ignoto e nonostante tutto,
troppo presa dal confrontare ogni giorno gli isterici cambiamenti dello
spread e degli indici di borsa, sta incautamente sottovalutando
indicatori fisici ben più rilevanti per le generazioni a venire e la
conservazione della specie.”
La
curva di Keeling realizzata con i valori medi mensili della
concentrazione di CO2
al Mauna Loa, dal 1958 al 2013. La media di aprile 2013 è giunta a 398.3
ppm, e potrebbe toccare le 400 ppm in maggio (fonte:
NOAA).
Andamento medio orario e giornaliero della
concentrazione di CO2
all'osservatorio del Mauna Loa nell'ultimo mese (6 aprile – 5 maggio
2013). I valore medi orari hanno già superato le 400 ppm (401 ppm il 22
aprile 2013), mentre il valore giornaliero più elevato si è avuto per
ora il 3 maggio 2013 con 399.8 ppm (Fonte:
http://keelingcurve.ucsd.edu/).
Ma al di là di questi dettagli, il significato dei dati è lo stesso:
l'uomo sta alterando la composizione chimica dell'atmosfera con una
intensità e rapidità epocali, minacciando di scatenare cambiamenti
climatici e ambientali irreversibili in grado di perturbare la
vivibilità del pianeta per le generazioni future.
Altre risorse su questo tema
Articolo del fisico e divulgatore scientifico Richard Monastersky su
Nature
Articolo della University of California
Aggiornamento e comunicato WMO
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